L’informazione è stata travolta dal digitale e il lavoro giornalistico non ha quasi più nulla a che vedere con quello di venti o trent’anni fa. Nell’epoca in cui tutti comunicano e ricevono notizie a distanza le edicole chiudono, i siti internet dei giornali se va bene riescono a far pagare abbonamenti che valgono il 30 per cento del prezzo di copertina, altri media del web si reggono sulla pubblicità e su costi (del lavoro) molto bassi. Intanto Google e i social network cannibalizzano, per pochi spiccioli, quotidiani e periodici, che peraltro circolano in .pdf persino su Telegram o Whatsapp. La crisi del settore è confermata dal fallimento di fatto dell’Inpgi, l’Istituto di previdenza della categoria un tempo ricchissimo, anzi più esattamente dell’Inpgi 1 che si occupava dei giornalisti dipendenti ed è confluito nell’Inps nel luglio 2022. Rimane invece piedi l’Inpgi 2, la cosiddetta gestione separata per i giornalisti autonomi. Freelance, per dirla con una bella parola. In realtà, per lo più, sono giornalisti precari e ricattabili, collaboratori definiti “esterni” sottopagati a cottimo o nelle più diverse forme dalle Cococo alle Partite Iva.
Dal 2006 al 2021, anche per effetto dei prepensionamenti largamente sovvenzionati dallo Stato attraverso i fondi per l’editoria della legge 416/1981, secondo i dati Inpgi le posizioni dipendenti attive si erano ridotte da oltre 18.500 a poco più di 16 mila e fra queste quasi 1.900 sono alla Rai, che è un altro mondo, mentre una quota significativa è rappresentata da giornalisti assunti a tempo determinato, spesso solo per qualche mese all’anno. Alla chiusura dell’Inpgi gli “articoli 1”, cioè i dipendenti assunti a tempo indeterminato ai sensi della norma cardine del Contratto collettivo nazionale di lavoro giornalistico (Ccnlg), erano poco più di 14 mila, compresa la Rai. Di questi però, anche in grandi gruppi editoriali, una parte ha contratti di solidarietà o altre forme di ammortizzatori legati ai prepensionamenti. Un rapporto dell’Ufficio studi dell’Inpgi, riferito al periodo 2012-2019, dava conto di 2.509 rapporti di lavoro giornalistici persi in 7 anni, per una riduzione del 14 per cento “in controtendenza negativa di circa 5 volte rispetto alla generalità del sistema Paese”. La retribuzione lorda annua media dei giornalisti dipendenti (dati Inpgi per il 2020) è attorno ai 60 mila euro, alla Rai i livelli salgono, ma in generale si va da 20 mila per gli under 30 a oltre 80 mila euro sopra i 60 anni. Nel frattempo le pensioni da pagare sono aumentate da meno di 4.000 a oltre 7.000 e naturalmente sono per lo più legate a retribuzioni che non esistono più da decenni, ben superiori a quelle degli attuali attivi: la media dei trattamenti pensionistici 2020 è 65 mila euro lordi annui.
Contemporaneamente sono aumentate le posizioni attive all’Inpgi 2, quelle dei collaboratori “Cococo e liberi professionisti”, passate dalle 18.747 del 2006 alle 25 mila del 2021. La retribuzione media (sempre nel 2020) è pari a 15.617 euro annui, supera i 17 mila solo per le fasce d’età sopra i 45 anni. L’Inpgi 2 paga anche qualche pensione, per l’esattezza 1.350 nel 2021, ovviamente da fame: valore medio 2020 pari a 2.200 euro lordi annui. Gli iscritti all’Ordine dei giornalisti, peraltro, sono oltre centomila (108 mila nel 2021 secondo il Centro di documentazione giornalistica), molti di più delle posizioni Inpgi attive.
La sterminata casistica vede una quota esigua di freelance ben retribuiti, almeno finché non si guarda ai versamenti previdenziali e non si considerano tempi e costi dell’elaborazione di contenuti complessi, su cui gli editori certamente risparmiano rispetto al lavoro dipendente. C’è tuttavia una massa stimata attorno ai 5.000 giornalisti “autonomi” che in realtà lavorano, spesso full time, in regime di monocommittenza, in genere con contratti parasubordinati, per compensi che possono abbassarsi fino ai 5 euro (lordi) ad articolo o anche meno ma più spesso viaggiano fra i 30 e i 200 euro, dove però chi è pagato di più difficilmente produce più di un articolo a settimana, se non al mese, per retribuzioni medie annue che infatti in larghissima parte si fermano tra i 10 e i 20 mila euro l’anno (sempre lordi). Nei siti internet e nei quotidiani ci sono anche contratti Cococo da 20, 30 o addirittura 40 articoli al mese per meno di 2.000 o anche di mille euro (sempre lordi). Sono così prodotti da collaboratori detti “esterni” gran parte dei contenuti della cronaca locale e sportiva, ma il riconoscimento del rapporto di subordinazione, nonostante la sovrapponibilità all’articolo 2 del Ccnlg che disciplina appunto la figura del “collaboratore fisso”, non è affatto scontato. La giurisprudenza ondeggia pure quando si dimostra che il giornalista utilizza il sistema editoriale aziendale in redazione o lavora su turni prestabiliti. Collaboratori esterni producono anche gran parte dei supplementi, degli inserti e altri contenuti che in alcuni casi, persino in grandi giornali, sono di fatto pagati da inserzionisti con modalità che nella sostanza aggirano, senza conseguenze, il divieto di svolgere attività pubblicitaria che vige per gli iscritti all’Ordine dei giornalisti. Ci sono giornalisti non dipendenti che lavorano stabilmente anche negli uffici della Rai, dove peraltro le trasmissioni di informazione più seguite a differenza dei telegiornali non sono testate giornalistiche, quindi non hanno un direttore responsabile ai sensi del Ccnlg e non avevano neppure una rappresentanza sindacale diretta finché non si è creata una testata virtuale per assicurare almeno le forme del cosiddetto “giusto contratto”.
Una volta abolite le tariffe minime dell’Ordine, nel 2014 un incredibile accordo firmato dal sindacato dei giornalisti (Federazione nazionale della stampa, Fnsi) e dalla Federazione degli editori (Fieg) in occasione dell’ultimo rinnovo del Ccnlg ha indicato in poco più di 20 euro (lordi) il compenso minimo per un articolo su un quotidiano, poco più di 6 su un sito internet. E’ utile sapere che l’allora segretario Fnsi Franco Siddi, firmatario dell’accordo, sarà poi eletto in quota Partito democratico nel Consiglio di amministrazione della Rai e successivamente presidente di Confindustria Radio-Tv. La corrispondente delibera governativa sull’equo compenso, varata quando Matteo Renzi sedeva a Palazzo Chigi e Luca Lotti era sottosegretario delegato all’Editoria, è stata però annullata dal Tar Lazio con sentenza 05054/2015 del 28 gennaio 2015 anche per violazione dell’articolo 36 della Costituzione: “La delibera introduce parametri di ‘equo compenso’ non proporzionati alla quantità e qualità del lavoro svolto, e del tutto insufficienti a garantire un’esistenza libera e dignitosa al giornalista autonomo”, si legge nelle motivazioni. Si attende una legge che ancora non c’è.
A fronte una crescente precarizzazione, che limita di fatto la libertà di informazione (articolo 21, Cost.) e quindi anche il diritto dei cittadini a essere informati su cui dottrina e giurisprudenza costituzionale si esercitano da decenni, la rappresentanza sindacale dei giornalisti nelle aziende editoriali con almeno 10 dipendenti è sempre affidata ai Comitati di redazione (Cdr), eletti dai soli giornalisti con contratto di lavoro subordinato, come prevede l’articolo 34 del Cnlg, rinnovato da ultimo nel 2014 dopo una lunga prorogatio e scaduto nel 2016 senza che da allora siano neppure iniziate vere e proprie trattative per il rinnovo. Raramente i Cdr sono affiancati da rappresentanti dei collaboratori come prevedono i regolamenti della Fnsi e delle Associazioni regionali di stampa, che ovviamente non vincolano gli editori.
Un tempo molto forti, oggi i Cdr sono soprattutto destinatari di comunicazioni obbligatorie del direttore o dell’azienda su tutto ciò che attiene all’organizzazione del lavoro, però sono più o meno vittime del ricatto occupazionale e rappresentano anche i giornalisti che svolgono funzioni di coordinamento (capiredattori, capiservizio, ecc…) e in tale veste gestiscono i collaboratori sottopagati, di fatto i meno liberi dal momento che l’esercito di riserva è quasi illimitato. In molte redazioni anche di rilievo oggi si fatica a eleggere i Cdr, quando non prevalgono giornalisti molto vicini agli interessi di aziende il cui core business tradizionalmente in Italia è spesso lontano dall’attività editoriale (cosiddetti “editori impuri”). La qualità dell’informazione non ci guadagna e infatti il suo declino appare inesorabile. Nel frattempo emergono figure professionali nuove connesse al mondo digitale, dal social media manager al data journalist, al fact checker o al videomaker, a volte iscritti all’Ordine dei giornalisti e a volte no, come del resto i cosiddetti comunicatori – oltre 20 mila secondo il Centro di documentazione giornalistica – che lavorano per imprese commerciali, associazioni, forze politiche e anche per soggetti istituzionali che non sempre applicano il Cnlg agli uffici stampa pubblici, come tuttavia è previsto dalla legge 150/2000.
Con tutta evidenza i Cdr non hanno la forza necessaria per rappresentare i giornalisti e la stessa Fnsi, il cui statuto semi-federale è articolato sulle Associazioni regionali secondo un modello che risale alla struttura dell’informazione della seconda metà del secolo scorso, mostra ormai tutta la sua fragilità. Come e più di quanto accade in altri settori del mondo del lavoro, con i quali il sindacato dei giornalisti farebbe bene a stringere rapporti unitari. C’è pure l’aggravante del sostanziale fallimento dell’Inpgi, per decenni finanziatore principale della Fnsi e delle Associazioni regionali.
Cookie | Durata | Descrizione |
---|---|---|
cookielawinfo-checkbox-analytics | 11 months | This cookie is set by GDPR Cookie Consent plugin. The cookie is used to store the user consent for the cookies in the category "Analytics". |
cookielawinfo-checkbox-functional | 11 months | The cookie is set by GDPR cookie consent to record the user consent for the cookies in the category "Functional". |
cookielawinfo-checkbox-necessary | 11 months | This cookie is set by GDPR Cookie Consent plugin. The cookies is used to store the user consent for the cookies in the category "Necessary". |
cookielawinfo-checkbox-others | 11 months | This cookie is set by GDPR Cookie Consent plugin. The cookie is used to store the user consent for the cookies in the category "Other. |
cookielawinfo-checkbox-performance | 11 months | This cookie is set by GDPR Cookie Consent plugin. The cookie is used to store the user consent for the cookies in the category "Performance". |
viewed_cookie_policy | 11 months | The cookie is set by the GDPR Cookie Consent plugin and is used to store whether or not user has consented to the use of cookies. It does not store any personal data. |